Sul mio lavoro di scrittrice
Spesso la gente mi chiede quanta verità ci sia nei miei libri e quanto io abbia inventato. Posso giurare che ogni parola è vera. Se non è accaduto, accadrà certamente. Non riesco più a tracciare un confine tra la realtà e la fantasia. Prima mi chiamavano bugiarda, ora che mi mantengo con queste bugie mi chiamano scrittrice. Forse dovremmo semplicemente attenerci alla verità poetica.
Nel suo Libro degli Abbracci, Eduardo Galeano ha raccontato una storia che amo. Per me è una splendida metafora della scrittura. “C’era un uomo anziano e solitario che passava la maggior parte del tempo a letto. Giravano voci che avesse un tesoro nascosto in casa. Un giorno i ladri fecero irruzione, cercarono ovunque e in cantina trovarono un forziere. Se lo portarono via e quando lo aprirono scoprirono che era pieno di lettere. Erano le lettere d’amore che l’uomo aveva ricevuto nel corso della sua lunga vita. I ladri stavano per bruciarle, ma ne discussero e alla fine decisero di restituirgliele. Una a una. Una a settimana. Da allora, ogni lunedì a mezzogiorno il vecchio avrebbe atteso l’arrivo del postino. Non appena lo vedeva, gli correva incontro e il postino, che sapeva tutto, teneva la lettera in mano. E perfino san Pietro riusciva a sentire il battito di quel cuore, impazzito di gioia nel ricevere un messaggio da una donna”.
Non è forse questa l’essenza giocosa della letteratura?… Un evento trasformato dalla verità poetica. Gli scrittori sono come quei ladri di buon cuore, prendono qualcosa di reale, come le lettere, e con un trucco di magia lo trasformano in qualcosa di completamente nuovo. Quella è la parte migliore della scrittura: trovare i tesori nascosti, ridare splendore agli eventi consunti, tonificare con l’immaginazione l’anima stanca, creare una specie di verità partendo da molte bugie.
La buona narrativa non è solo l’eccitazione data dalla trama, ma dà il meglio quando è un invito a esplorare oltre l’apparenza, mette a repentaglio la sicurezza del lettore, mette in discussione la realtà. Sì, può turbare. Ma alla fine magari c’è una ricompensa. Con un po’ di fortuna l’autore e il lettore, mano nella mano, possono imbattersi in particelle di verità. Lo scrittore prova semplicemente un bisogno incontrollabile di raccontare la storia. Non c’è nulla di più, credetemi.